Die immateriellen Kulturgüter: Projekt "Hirtenflöten in den ladinischen Tälern der Dolomiten"
Diese audiovisuelle Forschung, die vom Museum Ladin Ciatel de Tor gestiftet und vom Forscher Paolo Vinati in 2009 durchgeführt wurde, hat die Herstellung von Hirtenflöten aus Holz in den 5 ladinischen Tälern (Gadertal, Gröden, Fassatal, Buchenstein und Ampezzo) dokumentiert. Durch diese Forschung wurde das immaterielle Kulturerbe des Kennens der alten Herstellungkunst dieser kurzlebigen Hirtnflöten, die nur für kurze Zeit spielen, aufbewahrt.
Abhandlung (in italienischer Sprache)
Sciüri, sigoloc, subiote
Flauti di corteccia nelle vallate ladine dolomitiche
di Paolo Vinati (Testo pubblicato in “Ladinia”, XLIII, 2019 - Istitut Ladin Micurá de Rü)
Il presente scritto nasce come completamento di una ricerca audiovisiva promossa dal Museum Ladin Ciastel de Tor di San Martino in val Badia nel 2009 e realizzata dallo scrivente. Nel corso di quella ricerca è stata documentata la costruzione di strumenti musicali realizzati con la corteccia degli alberi nell'area ladina sellano-ampezzana (Val Badia, Gardena, Ampezzo, Val di Fassa e Livinallongo). Il primo passo della ricerca fu quello di verificare se in quel territorio vi fossero persone in grado di realizzare tali manufatti e di documentarne successivamente le modalità di costruzione, considerando questo sapere un vero e proprio bene immateriale che presumibilmente andava ad affievolirsi perché appartenente ad un mondo, quello infantile/pastorale, che oggi se esiste lo è in maniera del tutto occasionale. In quest' area erano state individuate diciassette persone in grado di costruire strumenti con corteccia (3 in Ampezzo, 1 a Colle Santa Lucia, 3 in Gardena, 2 in Livinallongo, 5 in Val Badia e 3 in Val di Fassa) che si erano rese disponibili a mostrare il loro sapere davanti alla videocamera. Una volta filmate le modalità di costruzione furono montati i rispettivi video (della durata dai 6 e i 10 minuti) nei quali la prima parte era dedicata alla costruzione dello strumento, la seconda all'intervista relativa alle modalità e alle occasioni di realizzazione, al legno utilizzato, al periodo stagionale adatto alla costruzione, all'uso dello strumento [1].
Successivamente si era organizzata al Museum Ladin una giornata dedicata a questi strumenti dove venivano mostrati i video realizzati e dove due persone precedentemente intervistate tenevano un laboratorio per la costruzione degli strumenti. L'iniziativa riscosse grande successo, soprattutto fra i visitatori più piccoli.
Cenni organologici
Gli strumenti musicali di corteccia sono detti anche “strumenti effimeri” perché la loro durata è di pochi giorni o ancora meno; infatti il rinsecchimento e il conseguente restringimento della corteccia ne modificano la morfologia compromettendone la funzionalità [2]. Questi strumenti rientrano in una categoria detta degli “strumenti minori” che racchiude quegli oggetti/strumenti che svolgono un ruolo marginale nella tradizione musicale popolare. Tali strumenti effimeri sono stati documentati in molte regioni italiane e austriache e sono comunque diffusi ovunque: sefolot, sivlì, sübì, siglot in Lombardia, fiaùto, cifolitto nel Lazio, piva in Romagna, zufilo nella provincia di Lucca, sulavvròta in Calabria, o iscoro 'e castagno nella provincia di Avellino, subiët, pifer, sigolòt nel Canavese in Piemonte, Maienpfeifen, Maipfeifen nel Sudtirolo germanofono e in Austria [3].
Nel territorio ladino dolomitico sellano-ampezzano sono chiamati subiote in Ampezzo, scioloc in Livinallongo (BL) [4] , scibloc in Gardena (BZ), sciüri e sciuroc in Val Badia (BZ) [5], sigoloc in Val di Fassa (TN). In alcuni casi il nome dello strumento corrisponde al sostantivo (sciüre: fischio).
Per la costruzione di questi strumenti sono stati utilizzati più frequentemente rami di salice bianco (Salix alba) e di sorbo dell'uccellatore (Sorbus aucuparia), ma anche con rami di altre piante latifoglie come l'ontano (del genere Alnus), il frassino (Fraxinus excelsior) e il nocciolo (Corylus avellana); gli informatori hanno riferito che si possono realizzare anche con il baccarello (Pyrus torminalis) o l'acero (genere Acer) [6].
La dimensione dei rami utilizzati per la costruzione varia da un diametro di 14 mm a un diametro di 30 mm. La costruzione di questi flauti era relegata perlopiù al mondo infantile/pastorale: diverse persone intervistate li costruivano all'età di 7 – 11 anni, cioè quando i bambini delle vallate andavano a “vardé” cioè quando veniva affidato loro il compito di portare al pascolo il bestiame. Ma realizzare questi flauti diventava anche un gioco e una competizione tra chi riusciva a realizzare strumenti con un suono più forte. Alcuni informano che li vendevano ai turisti per poche decine di lire [7]. Molte delle persone intervistate non avevano più realizzato questi strumenti sonori dal tempo della loro gioventù, tanto che alcuni giorni prima dell'intervista avevano voluto verificare di essere ancora in grado di realizzarli. Questo ci fa affermare che dai costruttori tali “oggetti sonori” non sono riconosciuti come veri e propri strumenti, ma “soltanto” come dei giochi sonori e che la competenza culturale necessaria alla loro costruzione non è riconosciuta come tale.
Il periodo nel quale è possibile costruire questi fischietti è quello primaverile quando la pianta “la va in amore” (in ampezzano), “va n t lat” (in gardenese), cioè quando vi è la ripresa del ciclo vegetativo e nei vasi legnosi inizia a risalire quel liquido che dalla radice sale fino alle foglie e agli apici dei rami, chiamato linfa o umore [8]. Questo liquido permette il distaccamento della corteccia dal resto del ramo. La presenza della linfa quindi rende possibile sfilare dal ramo la corteccia in maniera integra, senza spaccature o fessure. In tutti i luoghi visitati la prassi esecutiva per il distaccamento della corteccia - primo passo per la costruzione dello strumento - è identica, mentre le fasi successive possono variare a seconda della particolarità dello strumento.
Ecco quindi che una volta reperito un ramo:
1) Viene praticata col coltello circoncisione sulla corteccia la quale determina la lunghezza dello strumento [9]. Dall'estremità del ramo tagliato al punto della circoncisione non devono essere presenti nodi e il ramo deve essere diritto [10].
2) Viene realizzato il labium a forma di D, con l'asta rivolta verso il foro di insufflazione, ad una distanza di circa 15-20 mm dall'estremità.
3) Si esegue il taglio longitudinale all'estremità del ramo per creare il becco. In alcuni casi questo non viene praticato e il ramo è lasciato con un taglio netto perpendicolare[11].
4) Si batte insistentemente la corteccia - con il manico del coltello e tenendo la lama tra le dita - su tutta la lunghezza fino al taglio circoncisorio facendo ruotare il ramo affinché venga battuto su tutta la superficie. La battitura serve per far staccare la corteccia dal ramo. In alcuni casi il costruttore inumidisce la corteccia con la saliva passando il ramo in bocca. Questa operazione faciliterebbe lo staccarsi della corteccia dal ramo.
5) Si afferra il ramo con una mano dalla parte appena battuta e con l'altra mano dall'altra parte e tramite torsione si cerca di staccare la corteccia. L'operazione della battitura della corteccia può essere ripetuta qualora non si distacchi. Il momento del distaccamento della corteccia è caratterizzato da un particolare suono (trak). A quel punto la corteccia viene sfilata delicatamente ottenendo un tubo.
Queste prime cinque fasi caratterizzano la costruzione di tutti gli strumenti documentati anche se per alcuni informatori la fase 3 precedeva la fase 2. Alle fasi qui sopra descritte seguono altre fasi indispensabili al funzionamento dello strumento e a determinare le specifiche particolarità.
Tipologia dei flauti di corteccia raccolti in territorio ladino sellano-ampezzano
Gli strumenti documentati rientrano nella categoria dei flauti dritti a bocca zeppata ricavati da tubi naturali vegetali freschi (la corteccia); sarà quindi necessario partire da una breve descrizione del funzionamento di un flauto a becco dato che gli strumenti documentati si basano sullo stesso principio fisico: l'aria soffiata viene incanalata nel becco tramite una fessura (B) che va ad infrangersi sul labium (C), un bordo tagliente che la divide; la parte di aria che entra nello strumento viene messa in vibrazione generando così il suono. La zeppa (A) è il cilindro che viene inserito nel becco del flauto.
Zeppa, labium, becco, fessura fanno parte della terminologia che useremo per la nostra analisi degli strumenti in corteccia.
Flauti dritti con zeppa e tappo uniti
Questi flauti sono stati realizzati in varie località visitate e pertanto non si possono dire originari di una determinata vallata. Questa tipologia di flauti risulta essere quella più diffusa: in tutta la Val Badia, a Selva in Gardena, a Renaz in Livinallongo, a Colle Santa Lucia, e in Ampezzo [12].
Una volta che si sono svolte le operazioni per il distaccamento della corteccia descritte sopra, viene creato nell'anima di legno un vuoto, asportando materiale dall'inizio del foro del labium creando una parete verticale fino a una distanza che va dai 25 mm fino a circa 60 mm. Successivamente si asporta poco materiale dalla zeppa con un taglio parallelo all'asse del cilindro, in direzione della finestra frangi-aria, creando un piano che poi, inserito nella corteccia formerà la fessura dalla quale l'aria insufflata potrà passare. Carlo Kostner esegue questo piano asportando più materiale verso l'estremità del becco; con questo accorgimento fa si che il flauto suoni meglio [13]. Questa modalità di costruzione fa sì che la zeppa non si separi dal tappo. Si procede quindi nell'inserire il legno lavorato nella corteccia. L'operazione viene effettuata bagnando il legno con saliva il che facilita l'inserimento del legno nel tubo di corteccia [14].